Storia
Le origini
Solo poche Università in Europa, dove notoriamente l'istituzione si modellò, vantano la risalenza e continuità di quella camerte, anche se l'avvio privato, condiviso con tutte le più antiche, e la perdita di gran parte dei documenti pubblici d'età comunale e signorile consentono di recuperare solo i relitti disposti dal caso.
Almeno dal secondo Duecento il Comune di Camerino, che ha già affermato l'egemonia su un vasto territorio e valuta la cultura - soprattutto giuridica - utile alla crescita delle comunità ed alle loro relazioni esterne, spedisce suoi messi nelle terre vicine per divulgare i bandi relativi allo Studio: così per secoli si indicò la scuola superiore, essendo riservato il termine 'università' alle associazioni promosse dagli studenti a tutela dei loro interessi. Il servizio, negato alle iniziative didattiche di preti e religiosi (eppur la scuola del capitolo cattedrale aveva avuto un importante ruolo e Studi di teologia e filosofia erano attivi almeno nei conventi dei Minori e degli Eremitani), è garantito ai docenti di diritto civile, diritto canonico, medicina e lettere, e configurato come vero obbligo giuridico a provvedere da una norma degli Statuti, singolarmente rafforzata (et hoc capitulum sit precisum), che commina gravi sanzioni pecuniarie al podestà e al capitano del popolo che omettano di vigilare.
I bandi, a lungo inalterati nella forma e nel contenuto, esaltavano le virtù del professore, indicavano l'avvio delle lezioni (spesso coincidente col 18 ottobre giorno di S. Luca) e la durata del corso, garantivano la città ben fornita di alloggi e di prodotti alimentari a buon mercato, soprattutto promettevano agli studenti e ai loro famigli libertà d'ingresso e regresso ed esenzione dalle rappresaglie, eventualmente concesse contro le cittadinanze di appartenenza. Resta, ad esempio, celebre il bando - disposto da Federico II e stilato nel 1224 da Pier delle Vigne - al quale l'Università di Napoli fa risalire la sua origine: vanta come professore civilis scientiae il iudex et magister Rodolfo da Varano, identificabile col padre del Gentile che, quattro decenni dopo, instaurerà su Camerino la signoria, che sarà alfine elevata alla dignità ducale. Alla maniera di Napoli per Rodolfo da Varano, il Comune di Perugia nel 1288 provvederà per Angelo di Giovanni, altro camerte, lettore di Medicina, nell'insegnamento del quale gli storici della prestigiosa sede ravviseranno la più antica manifestazione del loro Studio.
Tutele volte a garantire la libertà degli studenti, che per amore della scienza si rendevano pellegrini e subivano pedaggi e rapine, erano state in realtà concesse fin dal 1155 con la costituzione 'Habita' dall'imperatore Federico I Barbarossa: la recezione della norma imperiale in apposita rubrica statutaria da parte del Comune di Camerino, schierato nei secoli con la Chiesa e contro l'Impero, ben ribadisce lo straordinario interesse della comunità per la scuola e la cultura.
Al terzo decennio del Trecento risale una nota di Cino da Pistoia, riservata a sorpresa alla situazione delle scuole giuridiche nella Marca, regione nella quale il grande poeta e giurista aveva risieduto nel triennio 1319-21 per svolgervi le funzioni di giudice del rettore provinciale e nella quale, dimorando proprio a Camerino, aveva ricevuto nella primavera 1321 l'ambasciatore di Siena che lo invitava ad assumere una cattedra nello Studio in via di fondazione in quella città. Cino, affrontando anni dopo il difficile tema se occorra ancora un'autorizzazione imperiale per insegnare ed interpretare il diritto - e scongiurare quindi la diffusione di interpretazioni incontrollabili e devianti -, propende per la soluzione negativa, sottolineando come ormai il diritto non si insegni più solo nelle città 'regie', cioè nelle due capitali imperiali come aveva preteso Giustiniano, e neppure più in città almeno importanti verso le quali glossatori corrivi s'erano mostrati disponibili, ma dovunque, anche nei castelli, cioè anche nei villaggi fortificati, come si verifica soprattutto nella Marca…
La nota di Cino non va interpretata come uno sberleffo per Camerino, chiaramente non nominata, ma - si potrebbe insinuare, a motivo del soggiorno certo presente nel ricordo del giurista - allusivamente stracciata a livello di villaggio per le dimensioni comunque modeste rispetto alle velleità culturali: vero è invece che nella Marca la corsa alla scuola aveva effettivamente contagiato comunità irrisorie, allora qualificate in modo appropriato come castra, secondo la classificazione geografica e giuridica che prevedeva, in decrescita d'importanza, civitates, terrae, castra, villae. Ricerche hanno, infatti, dimostrato che centri come Tolentino e Macerata, i quali alla fine del Duecento non oltrepassavano la qualifica di castelli e sarebbero presto finiti sotto la signoria camerte, avevano considerato una grossa opportunità accogliere, sia pure per una breve stagione, se non come Camerino docenti di varie discipline diverse, almeno quelli di diritto. Diverso invece allora il peso politico, demografico ed economico di Camerino, vera civitas in quanto sede di diocesi e della più estesa della Regione, sede del tribunale presidiale neppure concepibile senza uno stuolo di giuristi accanto, sede di comune egemone, indi di un governo signorile tra i più partecipi delle vicende politiche della Penisola, infine luogo di produzioni e commerci aperti all'Europa e al Mediterraneo. La Camerino che un uomo di mondo come il cardinale Anglic de Grimoard, fratello di Urbano V, nel 1370 definirà insignis et pulcra civitas…cum magno comitatu…magnum membrum in Marchia, con gli ottomila 'fuochi', rilevati a metà del Trecento su un registro superato della Camera apostolica, non sfigurava ancora con città ritenute importanti, come ad esempio la Roma di Cola di Rienzo che, privata della curia pontificia, non oltrepassava gli undicimila abitanti, o con la Firenze che nel 1379 raggiungeva a malapena le tredicimila 'poste', unità impositive corrispondenti ai "fuochi". E Firenze richiama subito una testimonianza del Boccaccio, secondo la quale la città, inclinata più alle manifatture e alla mercatura che alla cultura giuridica, aveva ai suoi tempi bisogno estremo di funzionari reclutati in primo luogo nella Marca.
Al 20 settembre 1336 risale una disposizione colla quale Bertrand de Déaulx, nunzio e riformatore spedito da Avignone nello Stato della Chiesa, consente al Comune di Camerino di non adeguarsi alle costituzioni con le quali, per scongiurare l'avvento di tiranni, aveva ribadito, appesantendo le sanzioni, il divieto di nomina di magistrati nativi del luogo e quello di rinnovo immediato della carica alla stessa persona. Nella trattativa intercorsa fra il rappresentante pontificio ed il Comune di Camerino ben emerge l'inquietudine dei giurisperiti e notai camerti che - organizzati rispettivamente nel collegio 'dei giudici' e in quello 'dei notai e procuratori' - popolavano allora Camerino: è certo che essi, pur di frequente condotti come magistrati dai maggiori comuni dell'Italia centro settentrionale e dal Regno, trovassero più frequente occupazione nelle molte terre, alcune con complesse organizzazioni amministrative, soggiogate dal Comune e quindi dalla Signoria.
Gregorio XI e lo Studio generale (1377)
Nel 1377 la lenta ascesa dello Studio camerte sembra concludersi: Gregorio XI, nella fase in cui un riconoscimento dell'Università da parte del pontefice o dell'imperatore ha finito per configurarsi come necessario o almeno di molto peso promozionale, concede allo Studio camerte, per intercessione di Gentile III da Varano Signore della città, la qualifica di 'Studium generale', che consente di promuovere i meritevoli, con autorità apostolica, ai gradi di baccelliere, licenziato, dottore. Il privilegio, rilasciato per soli cinque anni, appare inusitato e apre una ridda di ipotesi, non facilmente scioglibile anche per la reticenza con cui gli storici di altre Università hanno trattato i dati in loro possesso: è il caso infatti di rivelare che quasi tutte le storie universitarie sono costellate di leggende, vanterie e reticenze. Forse è ipotizzabile che il 'dottorato', massimo grado accademico ed abilitante ad insegnare in qualunque luogo, convenisse ancora - del resto ieri come oggi - solo a poche sedi e a sporadici corsi: è infatti noto che comuni e prìncipi si servissero soprattutto di giurisperiti, giudici, podestà, che di regola avevano alle spalle un percorso di studio di cinque anni, più breve quindi di quello di otto previsto per chi aspirava ad insegnare o almeno a battere con titolo più roboante quelli fermatisi al quinquennio. Certo è che il privilegio viene rilasciato a Camerino mentre le Università di Bologna e Perugia tacciono, in quanto le rispettive città, insieme ad una trentina d'altre d'antica fede guelfa, sono in guerra contro Gregorio XI e capo supremo della lega antipapale è Rodolfo II da Varano. Costui, uno dei Signori di Camerino, è in disaccordo solo simulato col fratello Gentile III, che invece impetra ed ottiene il privilegio universitario, avvalendosi certo dei buoni uffici del vicario della città di Roma e vescovo di Camerino Luca di Ridolfuccio. Luca, quale dottore in diritto canonico e fiduciario del cardinale Capocci, s'era in precedenza prodigato per la fondazione del Collegio universitario di S. Gregorio in Perugia, tra i primi promossi in Italia.
Gli Statuti camerti del 1424, pervenuti mutili, e quelli del 1563, pervenuti interi, conservano una legislazione relativamente articolata in materia universitaria. La sostanziale sovrapponibilità, ove consentita, fra le due raccolte induce a ritenere inserite nella prima tutte, o quasi, le rubriche in materia scolastica, leggibili oggi solo nella seconda. I 'iudices' ormai indicati come 'doctores', e quindi - manifestamente - come professori, hanno la precedenza su ogni altra categoria nelle manifestazioni sacre e profane che si svolgono in città. Le loro consorti possono indossare vesti e gioielli non consentiti - dalle leggi volte a reprimere il lusso - alle donne dei comuni mortali. I catafalchi dei dottori defunti potranno fruire di torce più numerose e grandi. Restano in piedi le rubriche che assicurano la diffusione dei bandi dei docenti e la tutela degli studenti; altre prevedono a favore del docente, che non abbia ricevuto la remunerazione, la possibilità di ricorso al processo sommario (semplificato), consentito per tutte le cause del lavoro, e la responsabilità economica suppletiva del rappresentante comunale che ha curato l'ingaggio; i docenti, al pari d'altri dipendenti comunali, non possono godere di gratifiche suppletive e deve essere condannato chiunque in Consiglio osi proporle; è vietato corrispondere lo stipendio a professori che abbandonino l'insegnamento prima della scadenza del termine. Una singolare norma, diretta a reprimere l'omosessualità, pone a carico degli sbirri comunali una particolare vigilanza sui luoghi ove abitano e si intrattengo gli studenti. L'afflusso a Camerino di numerosi studenti allora solo maschi rendeva difficile - come in ogni sede universitaria - l'ordinaria integrazione tra giovani di diverso sesso ed evidentemente non bastavano i lupanari, disciplinati dagli Statuti, a spegnere le pulsioni.
è forse il caso di far cenno che nel corso del Quattrocento e del primo Cinquecento matura a Camerino una schiera di umanisti importanti, fra cui singolarmente almeno due donne, Costanza (†1447) e Camilla (†1524) entrambe della famiglia dei da Varano. Tommaso Pontano (†1450) e Tommaso Seneca (†post 1472) appaiono di rilievo italiano; Varino Favorino (†1537) e Giovanni Ricucci (†1546) di livello europeo: l'uno, autore del primo dizionario greco, fu maestro di Giovanni dei Medici futuro Leone X, l'altro con gli scritti filosofici e l'insegnamento elevò notevolmente la fama dell'Università di Vienna. Francesco Filelfo (†1481) e Giovanni Pontano (†1503), nati rispettivamente a Tolentino e a Cerreto Ponte sul Nera, domìni varaneschi, per meglio accreditarsi si definivano 'camerti'.
Benedetto XIII e la rifondazione del 1727
L'interesse degli Statutari del 1563 ad apportare numerose varianti di carattere letterario ai testi della legislazione scolastica del 1424 indurrebbe a ritenere attiva la Scuola superiore camerte oltre la data dell'intervento. Forse sopravvive nelle cattedre, confinate nel Convento di S. Domenico e ormai appannaggio delle accademie locali, attive ancora nel 1726, allorché il Consiglio generale di Camerino, deciso ad aumentarne il numero, chiede a Benedetto XIII di poter destinare allo scopo alcune risorse destinate ad altre finalità. Il papa-re nel luglio 1727 - con la bolla 'Liberalium disciplinarum' - non solo consente, ma andando oltre la richiesta, impone che le cattedre si organizzino e si articolino in Facoltà (di teologia, diritto canonico, diritto civile, filosofia, medicina e matematica), secondo il modello di 'Universitas Studii generalis' ormai prevalso in più luoghi. La concessione, che va oltre la richiesta formulata dal Consiglio e si profila più onerosa per la comunità locale, cela un mistero: non si sa se essa sia stata risultato d'una scelta autonoma del pontefice volta a promuovere al più alto grado gli studi, o a lui sia stata strappata da camerti altolocati che non avevano voluto spaventare in Consiglio i concittadini con richiesta più impegnativa: certamente saranno i poveri di Camerino a farsi carico della Università, in quanto verso di essa saranno dirottate, con l'opposizione del vescovo diocesano, le risorse di vari enti di beneficenza.
Francesco Stefano I e il privilegio del 1753
La rifondazione ha effetti straordinari sulla ricerca e la didattica.
Nel 1753 Francesco Stefano I di Asburgo - Lorena estende la validità delle lauree camerti a tutto il territorio del Sacro Romano Impero, concede al rettore la dignità di conte palatino e all'istituzione il privilegio di 'alzare le armi imperiali', per il quale l'Università di Camerino si fregia ancor oggi dello stemma personale di quell'imperatore. Il terremoto del 1799 e l'occupazione francese spengono quasi l'Università, che invece riprende vigore con la riforma di Leone XII del 1824: l'organico si rinnova, sorgono attrezzati gabinetti scientifici, si converte in orto botanico l'area verde a valle del palazzo ducale, divenuto dal 1749 sede principale dell'Università. L'iniziativa di Nicola Mattei arcivescovo di Camerino - e per la riforma leonina cancelliere della Università - volta ad inserire i gesuiti sulle cattedre universitarie viene stroncata dai moti popolari che anche a Camerino scoppiano nel marzo 1848, si concludono con la cacciata dei religiosi e si giovano della benedizione dell'arcivescovo Felicissimo Salvini, frattanto subentrato.
La Libera Università (1861)
Con l'annessione al Regno della delegazione di Camerino l'Università - precedendo quelle di Perugia, Urbino e Ferrara -ottiene nel gennaio del 1861 lo status di Università libera, che prevede per il Comune l'obbligo di integrare le rendite immobiliari dell'istituzione. Venuta meno la Facoltà di Matematica e Filosofia, mai accorsata, e passata quella di Teologia coi docenti ecclesiastici al locale Seminario, l'Università conserva le Facoltà di Giurisprudenza e Medicina e le Scuole di Veterinaria e di Agronomia. Per l'Ateneo s'apre un secolo di vita grama sul piano economico, eppure splendido per l'attività scientifica e didattica dei professori: Camerino, demograficamente troppo esigua per aspirare ad alimentare con docenti cittadini il corpo insegnante, come invece pretendono città appena più grandi, s'apre ai professori più giovani e promettenti d'Italia, accreditandosi presto come un 'sememzaio' di maestri, e ciò avviene in modo sorprendente mentre il Consiglio comunale gestisce ogni supplenza e sceglie i commissari per i concorsi. Sulle cattedre camerti di Giurisprudenza si susseguono così docenti della tempra di Vittorio Scialoja, Pietro Cogliolo, Maffeo Pantaleoni, Giuseppe Salvioli, Antonio De Viti de Marco, Giacomo Venezian, Pietro Bonfante, Vincenzo Simoncelli, Santi Romano, Oreste Ranelletti, Antonio Cicu… Le cattedre di Medicina, Facoltà che nel 1863 laurea il mitico Augusto Murri, sono coperte da professori come Giambattista Fabbri, Cesare Federici, Giuseppe Colasanti, Benedetto Mircoli. L'autonomia ottenuta a Camerino consente ai giovani docenti di affrancarsi rapidamente dalle vecchie metodiche nelle quali, appagati, si attardano i loro maestri a Roma o a Bologna; le facoltà di approdo di ex camerti, riprendono subito accelerazione e quota.
La fioritura di Giurisprudenza, che dal 1917 annovera, accanto a Vincenzo Arangio Ruiz, anche il camerte Emilio Betti, maestro in ogni branca del diritto, umanista e filosofo, si fa intensissima tra le due guerre mondiali con Mario Allara, Carlo Esposito, Giuseppe Grosso, Giuseppe Chiarelli, Riccardo Orestano, Biagio Petrocelli, Giovanni Leone, Guido Astuti, Giacomo Delitala, Salvatore Satta, Norberto Bobbio… I giovani professori, ancora liberi da impegni distoglienti dallo studio, nel raccoglimento della città piccola - eppure splendida per edifici e scorci panoramici - trascorrono il periodo migliore per la ricerca. Trasferiti altrove, ovunque portano il ricordo di Camerino ed il carattere loro impresso da una straordinaria tradizione culturale, fatto d'acume scientifico e febbrile laboriosità, di profonda umanità ed arguzia, di stile di vita frugale ed insieme altamente dignitoso.
Nel 1927 chiude la Facoltà di Medicina, dai cui tronconi germogliano subito prospere le Facoltà di Farmacia, Veterinaria, Scienze. Giovanni Gallerani (†1940), professore di Fisiologia, reiteratamente Preside di Medicina e Rettore, e soprattutto difensore strenuo dell'Università camerte, viene allontanato e tacitato colla lusinga di provvedere alla fondazione della Università di Bari. In forza d'un destino assegnato fin dall'origine allo Studio camerte, non sarà l'ultimo dei già rettori camerti a produrre altrove, sia pur con seme già spossato, sviluppi rigogliosi.
L'Università Statale (1958)
Il secondo dopoguerra coglie l'Università di Camerino esausta nelle risorse e nelle strutture. Restano nelle sue cassaforti titoli di Stato svalutatissimi acquisiti lustri prima a seguito dell'alienazione - imposta dal Governo - d'un immenso patrimonio immobiliare, che un tempo aveva invece fornito all'istituzione discrete rendite. Con la legge 13 marzo 1958, n. 254, risultato d'una congiunzione di uomini politici e circostanze favorevoli, l'Università di Camerino è trasformata in statale. Lo sviluppo successivo, soprattutto materiale, della Scuola superiore, fino allora accolta in tre grandi edifici storici, è sotto gli occhi di tutti o merita un'apposita visita. Tra i migliori effetti della statizzazione l'erezione di Collegi universitari, essenziali per favorire la residenza e la formazione degli studenti.
Prof. Pier Luigi Falaschi